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Annuncio dellə classificatə all’AbbracciamoVi Creative Contest Area Scrittura

AbbracciamoVi Creative Contest – Area Scrittura

Con grande piacere, finalmente annunciamo pubblicamente lə premiatə all’AbbracciamoVi Creative Contest di quest’anno, presentando di seguito i loro elaborati. I nostri più grandi ringraziamenti e congratulazioni vanno a tuttiə lə partecipanti.


1° – Stefano Talamini: Escamotage

Escamotage

Non solo perché t’amo

tremo nelle fibre

ma solo perché t’amo

esito e vacillo.

Ed è uno spasmo che scuote il mondo.

Non profuma più il tempo

senza le tue braccia

senza il profumo tuo

corpo dissennato.

Lascia che parli solo il respiro.

Tu solo, solo chiedo

unica presenza

sterile, vaga, colma d’essenza.

La danza ormai ci guida:

ora noi siamo qui!

Non sei distante, non sei distante!

Cingi tenue i miei fianchi,

allevia l’attesa

accarezzando l’anima stanca,

abbracciami sublime

e sogna con me.

Nel vento corra la frenesia…

Stefano Talamini. Laureato in Scienze Politiche all’Università Cattolica di Milano e in Lettere all’Università di Padova (con una tesi su “La figura del padre in Umberto Saba e Biagio Marin”), ha dedicato gran parte della sua vita professionale alla consulenza e alla formazione aziendale nell’ambito delle risorse umane. Coltiva l’hobby della scrittura e ha vinto diversi premi letterari sia per la prosa sia per la poesia, italiana e ladina.

2° – Fabio Dacomo: Il Compimento

1 

Nel primo crepuscolo di un giorno che non saprei determinare con assoluta certezza, mentre giacevo ancora semiaddormentato nel letto, una delle mie voci mi parlò con un tono da incutere quasi terrore. 

Quella voce mi rese cosciente dello smarrimento nei miei gesti abituali e della stanchezza di un ritmo quotidiano ripetitivo e monotono: il mio lavoro in una agenzia immobiliare e la mia vita sentimentale fatta di deludenti incontri segreti con altri uomini. Il sesso, solo un piacere momentaneo. Subito dopo l’orgasmo quella solita avvilente sensazione di vuoto; le scuse, mie o di entrambi, per andare via, per evitare l’intimità, il reciproco guardarsi negli occhi. Fino a quel momento. Il cliente che stavo aspettando per una perizia di stima del suo immobile si presentò con un largo sorriso. Era giovane. Era bello e lo sapeva, anche se probabilmente non dava troppa importanza al suo aspetto esteriore. Si chiamava Mathias. 

Salimmo di sopra per visitare l’immobile. Ci rivedemmo in ufficio. Facemmo l’amore nel suo appartamento nel corso della seconda visita. Iniziammo a frequentarci. 

2 

Benché la famiglia avesse auspicato per lui una carriera imprenditoriale sulle orme del padre, Mathias aveva deciso di vendere tutto, lasciare le sue certezze e partire per il Venezuela nel segno di utopistici nobili ideali, per combattere forse la povertà, i soprusi, la corruzione e la criminalità, e per avere un contatto più vivo e diretto con la natura. Fino ad allora aveva avuto un vissuto perfettamente inquadrato negli schemi della società moderna; una vita che però era diventata una prigione. Sapeva che la chiave per aprire la porta della sua galera era da qualche parte dentro di lui. L’aveva cercata. L’aveva trovata. 

Nel frattempo continuammo a frequentarci con una passione travolgente, anche se andavo in giro con lui per Milano con la paura folle che qualcuno potesse vedermi assieme ad un uomo, evitando le sue intenzioni a tenermi la mano durante le nostre passeggiate al parco Sempione o ad abbracciarmi nell’attesa della metropolitana. 

Poi venne il giorno. 

3

Venne il giorno della sua partenza. 

Ci salutammo in aeroporto. E anche quella volta mi sottrassi all’abbraccio. Mi chiesi cosa ci facevo lì in quell’interminabile inverno. Solo, nudo, spogliato di tutto, esposto al freddo, al giudizio della mia anima e delle mie voci. Un mormorio nella mia testa si stava trasformando in un grido muto. 

Ero paralizzato, inarticolato e freddo. Ero come un germoglio improvvisamente coperto di ghiaccio pronto a sgretolarsi se qualcuno lo avesse calpestato. 

Stavo così, fermo, ad aspettare l’arrivo della bella stagione, cercando di rimanere in vita. 

4 

Poi arrivò il primo giorno di primavera, o forse era l’ultimo, non lo so. Le voci erano sempre più incessanti e morbose, e i pensieri sempre più offuscati e buttati lì senza alcun criterio a girandolare in tondo. Il germoglio si era scongelato mostrando la sua marcescenza. 

Mi immersi in situazioni cariche di energia negativa. Iniziai a frequentare gente poco raccomandabile, ripresi gli incontri di sesso occasionale. Dormivo male, combattevo contro ogni sentimento. Avevo io stesso calpestato la mia vita e ora la trascinavo come fosse quel germoglio marcio sotto la suola di una scarpa. 

E arrivò il giorno in cui conobbi Caterina. La incontrai ad una cena tra amici. Me la presentarono dicendomi che si era appena laureata in architettura di interni. Iniziammo a parlare di mercati immobiliari, discutemmo della rivalutazione delle strategie degli istituti di credito. 

E ci mettemmo assieme. 

E iniziò la mia triste commedia. 

La relazione con Caterina mi dava l’illusoria tranquillità di una vita che scioccamente si può definire normale. 

Non volevo raccontarle la verità. Ci pensai spesso, ovviamente, ma desistetti ogni volta, frenato dalla paura e dalla convinzione che il mio segreto fosse qualcosa di troppo contrario alla logica di pensiero per essere mercificato in una confessione banale. 

5 

Le lettere di Mathias si susseguivano a cadenza regolare mensile. Mi raccontava con tono entusiastico della piccola fattoria che stava costruendo con l’aiuto di alcuni ragazzi che era riuscito a strappare dallo squallore della strada, delle escursioni nei villaggi vicini per portare aiuti alle tribù locali, della nebbia mattutina che si alzava sopra la vegetazione lussureggiante. 

Ogni volta mi invitava ad andare da lui. Io gli rispondevo con minore frequenza, mi dimostravo felice per la sua nuova vita, gli raccontavo le poche cose della mia quotidianità. 

Gli scrissi con non poca fatica che avevo una ragazza, che non sapevo per quanto tempo sarebbe rimasta a far parte della mia esistenza. Forse per sempre. 

Ma successe l’imprevedibile. 

6 

Venne la pandemia. 

E l’isolamento mi fece capire. Ascoltai l’unica voce capace di farmi comprendere che non mi era rimasta ragione alcuna per nascondermi. Raccontai tutto a Caterina. Partii per andare da Mathias. Ad abbracciarlo.

Fabio Dacomo. Vive a Lazise, sul lago di Garda. Ha pubblicato nel gennaio 2021, con il “Gruppo Albatros Il Filo”, il suo primo romanzo “Pelle per uscire”. 

3° Mattia Liberale: T’ho vista madre la scorsa notte

T’ho vista tessere la seta

Davanti a quel cavalletto

Che ti regalò tua madre

T’ho vista andare al mercato

Salutando l’anziana per la via

T’ho vista ansiosa e occupata

Nel pulire l’intera casa

T’ho vista gioire e festeggiare

Per i primi passi dei tuoi figli

T’ho vista piangere lacrime dure

Sullo stipite freddo e vuoto

Alla partenza di tuo marito

Lacrime di dolore atroce

Sapendo che non sarebbe tornato

T’ho vista affrontare sfide

Abbattere muri e ostacoli

Ti ho vista crollare

Nel pensare all’indomani

Nel non vedere un futuro

T’ho vista ingrigire

Affievolirti come una foglia

D’un salice in autunno

T’ho vista spegnerti pian piano

Lume di candela a fine cero

T’ho vista con ali

Immacolate di angelo

Attraverso i Cancelli

Guardandomi e sorridendo

Sapendo che non fosse un addio

Se non fosse stato un sogno

T’avrei abbracciato

Se non fosse stata un’illusione

Avrei pianto sulla tua spalla

E t’avrei seguito

Senza alcun timore

Ma non ho nient’altro che il ricordo

Di te lontano eppure presente

Tale da permettermi di capire

Che l’angelo migliore

Mi ha salutato la scorsa notte

Mattia Liberale, nato a Vicenza il 3 novembre 1999, è attualmente al secondo anno del Corso di Studi Triennale in Matematica, presso l’Università di Padova. Appassionato di poesia e letteratura in generale, ha recentemente iniziato a pubblicare i suoi testi anche sui social, creando video-poesie e partecipando a laboratori ed eventi di poetry slam e tecniche di scrittura poetica, in collaborazione con il gruppo teatrale padovano Teatro Believe, gestito da Zeno Cavalla.

 

In questo periodo di distanziamento sociale, un nuovo modo per abbracciarsi è lo strumento del ricordo: qui in particolare il ricordo emerge come occasione per affrontare il lutto materno, a rappresentazione della perdita delle persone a noi care in questo momento difficile. La memoria rievoca scene di gioia e vicinanza, ma anche di difficoltà e amarezza, così che il narratore della poesia possa elaborare in modo completo la perdita e riuscire a superare il dolore. In questo caso quindi si tratta di un abbraccio metaforico, ovvero la capacità di dire addio per poter aiutare se stessi a continuare a vivere, anche attraverso coloro che rimangono attorno a noi, senza dimenticare però quello che ci è stato purtroppo sottratto. Aiutarsi l’un l’altro mediante l’esperienza del dolore, comune a tutti gli esseri umani e che proprio per questo ci permette di capire che non siamo soli.

3° Gabriele Bisognin: Profumo di violetta

Marco e Pietro si erano conosciuti quasi per caso, in una chat di incontri, durante una serata stanca e noiosa, in cui la televisione non trasmetteva nulla di interessante ed i rispettivi divani li accoglievano tra le loro morbide braccia, fin quasi ad inghiottirli. Entrambi erano entrati in chat quasi per gioco, per dare un po’ di colore alla monotonia della serata, ma senza molta convinzione. 

“Ehi ciao, sono Marco, hai un bel profilo”, scrisse Marco. 

“Grazie Marco, anche il tuo sembra interessante”, rispose Pietro. 

I due uomini, entrambi sulla quarantina, avevano iniziato a scriversi, e la curiosità e l’interesse era cresciuto di giorno in giorno, fino alla decisione di incontrarsi. E si erano piaciuti. Molto. Nonostante la distanza, entrambi avevano iniziato a passare sempre più tempo insieme: i fine settimana erano il loro appuntamento speciale. Marco, profondi occhi neri ed un grande cuore, si era innamorato abbastanza presto di Pietro, un tipetto con un bel caratterino, brizzolato, così diretto da sembrare addirittura ruvido, ma che aveva saputo corteggiare Marco ed a poco a poco conquistarlo grazie alla sua bontà, dolcezza e tenacia. 

I due visitavano musei, cenavano al ristorante, passeggiavano mano nella mano, si regalavano molti baci e molte coccole. Avevano anche stabilito un rituale: prima di lasciarsi e ritornare nelle rispettive città, due ore di macchina in autostrada, si abbracciavano forte e restavano ad occhi chiusi per qualche istante. A Pietro piaceva sentire il petto di Marco contro il suo ed a Marco piaceva sentire l’aroma di violetta che Pietro aveva sempre con sé a causa del suo unico vezzo: aveva un debole per le violette candite. 

Un giorno, però, qualcosa si mise di traverso al loro legame: qualcosa di imprevisto, di terribile, quasi incomprensibile. La notizia era su tutti i giornali e riecheggiava dai televisori, alla radio, fino ad essere entrata in maniera ossessiva nelle teste della gente. 

Un virus mortale teneva in scacco il mondo: una malattia pandemica. Feroce, subdola, trasmittibile per via aerea e per contatto fisico. Gli scienziati ed i governi erano completamente impreparati ad un evento drammaticamente eccezionale come questo e di conseguenza, per tentare di arrestare il dilagare della malattia, si erano intraprese misure straordinarie. Fino a nuovo ordine, tutti i cittadini avrebbero potuto uscire soltanto per fare la spesa nel supermercato più vicino a casa. 

I fine settimana di Pietro e Marco erano terminati, ed i due non sapevano quanto questa cosa sarebbe durata. All’inizio i due uomini avevano cercato di farsi bastare il telefono e le videochiamate, ma il loro rituale, il loro abbraccio, non c’era più. E Marco era quello dei due che ne aveva risentito maggiormente. Aveva cominciato a scivolare dentro ad una profonda e sorda tristezza, che si era trasformata in un’apatia che gli aveva sottratto la voglia di sperare E di vivere. Per Marco, nulla sarebbe finito presto, ed a nulla valevano le parole di Pietro, al quale Marco, lentamente, ma inesorabilmente, aveva cominciato a negarsi persino per un messaggio. Le ultime parole che Marco aveva scritto a Pietro, erano state lapidarie e cupe: “senza di te, senza il tuo abbraccio, mi sento perso, non ce la faccio più. Mi sento come una barca alla deriva in balia della corrente”. 

Anche Pietro soffriva della situazione, ma soffriva ancora di più per il dolore che provava Marco e per la paura di perderlo. 

Decise che doveva escogitare un modo per abbracciare Marco a distanza. Era questo che feriva di più Marco: la mancanza del suo abbraccio. 

Smise di telefonargli e cominciò, come un amante shakespeariano, a scrivergli poesie e ad inviargli disegni per lettera, una al giorno. 

Avvertiva Marco della spedizione delle sue missive tramite un messaggio sul telefono, messaggi a cui Marco non rispondeva mai.

Le lettere di Pietro si accumulavano, giorno dopo giorno, senza essere mai aperte. Un giorno, stranamente, a casa di Marco arrivò un piccolo pacchetto. Marco, forse per un sesto senso, o semplicemente incuriosito dalla novità della cosa, anziché gettarlo nel mucchio delle lettere sul tavolo della cucina, lo aprì. Il pacchetto profumava leggermente di violetta. 

Quando Marco aprì il pacchetto, il suo petto si accese come un animale che si sveglia dal letargo: un fortissimo profumo di violetta si sprigionò dalla scatoletta di cartone, in cui Pietro aveva messo quante più violette candite fosse riuscito a trovare in un periodo così difficile ed un biglietto che aveva spruzzato con essenza di violetta, in cui spiccava queto messaggio: “Marco, tieni duro. Ogni volta che ti mancherò, che ti mancherà il nostro abbraccio, metti in bocca una di queste violette candite. Sarà come fossi con te. Ti amo.” 

E Marco, con mano tremante, prese una violetta, la annusò, la sciolse in bocca, e pianse di commozione e di gioia. 

Pietro era riuscito ad abbracciarlo a duecento chilometri di distanza.

Gabriele Bisognin, 45 anni, vive a Vicenza e di mestiere faccio il fisico. Amo l’arte, cantare, ed ho una forte passione per la mineralogia e… la pizza.

 

Si tratta di un racconto che ha per protagonisti due innamorati, Pietro e Marco, i quali, vista la pandemia, non possono avere alcun contatto fisico, a causa della distanza che li separa e delle restrizioni agli spostamenti contingenti. Pietro, con sforzo creativo e toccando le corde dell’animo di Marco, riuscirà ad abbracciarlo anche a distanza, instillando in lui la scintilla della vita che la situazione e la mancanza di un abbraccio del suo compagno avevano spento.

Menzione speciale – Nico D. Alessandro: Mancarsi

Andrea e Luca si erano lasciati, questo lo sapevano tutti ormai. 

Si erano lasciati perché Andrea, una sera, aveva ceduto alle coccole di un ragazzo alto, biondo, con enormi occhi nocciola e la erre moscia. 

Si erano lasciati anche perché Luca, tempo prima di quel tradimento, aveva cominciato ad uscire con un ragazzino, un certo Walter, un tipino glabro e senza nessun tratto distintivo né particolari interessi o potenzialità, se si escludeva un culetto sodo che sapeva di pesca e caramello. 

Andrea e Luca si erano lasciati il 5 novembre 2019, senza rumore perché entrambi sapevano i motivi ed entrambi non vedevano motivo nel continuare a soffrire. 

Così Luca, che non aveva mai rinunciato a passare qualche ora della sua giornata con il suo ragazzino appena si presentava l’occasione, consolidò il suo rapporto con il bel culetto di Walter e Andrea, che non aveva mai più rivisto il biondo con la erre alla francese, si ritrovò da solo, con il terreno che si era fatto fragile sotto i piedi e un’applicazione sul telefono. 

Riuscì a conoscere un ragazzo, un certo Matteo, e lì per lì gli piaceva stare con lui, tanto che passarono un bel capodanno insieme ad amici comuni stappando vino e mangiando pizza; ma poi arrivò il caos, e il primo ad andarsene fu proprio Matteo. 

Andrea sentì il terreno franargli sotto i piedi e nel silenzio della quarantena che aveva inghiottito i Paesi del mondo, si trovò da solo nel suo appartamento senza nemmeno la voglia di mangiare.

Un pomeriggio accadde un fatto strano: se ne stava sul terrazzo, ascoltava la musica dalla finestra di fronte fumando una sigaretta rollata fresca, con i piedi appoggiati alla ringhiera e la testa piena di pensieri e capelli arruffati quando, sul marciapiede di fronte, vide un ragazzo con una canotta rossa che correva al sole di un marzo stranissimo. 

Quella stessa sera, complice una bottiglia di vino bianco e l’immagine di quel ragazzo che correva sul marciapiede che gli si ripeteva nella testa, Andrea prese il telefono e scrisse un messaggio: 

“Ciao Luca, come stai? Sai, è strano, mi sembra di averti visto correre sotto casa mia. Ti sto pensando.” 

Non dovette aspettare molto per ricevere una risposta: 

“Ciao Stellino, ero proprio io. Sì, ho cambiato casa da poco e mi sono trasferito nella tua zona. Stai bene? Che situazione di merda vero?” 

Si scambiarono pareri e insoddisfazioni da quarantena forzata per un buon quarto d’ora prima che Luca si lasciò sfuggire un maledetto “Mi manchi” alla fine di un messaggio in cui raccontava di aver terminato tutte e otto le stagioni di Desperate Housewives in cinque giorni. 

Mi manchi. E anche ad Andrea lui mancava. E ora che era chiuso in casa gli mancava anche di più. Gli mancava guardarlo negli occhi, sentire la sua voce, guardarlo andare nudo in bagno dopo che avevano fatto l’amore; gli mancavano i suoi abbracci quando ne aveva bisogno e non li doveva chiedere. 

Ad Andrea mancava Luca, e a Luca mancava Andrea. 

Aprile passò come era passato marzo, in silenzio, sul balcone. E di colpo venne il mese di maggio, il sole di maggio, la libertà di maggio. 

Il confinamento era finito, ma Andrea non sapeva più uscire di casa, non sapeva se aveva davvero motivi validi per uscire oltre al fare la spesa; d’altra parte il suo lavoro di editor lo svolgeva dalla scrivania in soggiorno e i locali ancora non erano aperti per gli aperitivi con gli amici. 

Aveva finito di editare un libro sulla pandemia, una cosa che credeva sciocca: perché mai la gente avrebbe dovuto voler leggere un libro su una catastrofe che non era nemmeno terminata? 

Aveva finito di lavorare e si stava preparando un tè quando suonarono al citofono, un suono che aveva quasi scordato.

«Sì?»

«Mi apri? Mi manchi.»

Tenne premuto il pulsante più a lungo del dovuto, per assicurarsi che la porta si aprisse e che lui entrasse. Aprì la porta per ascoltare i suoi passi nella tromba delle scale e non trattenne le lacrime a vedere il suo viso coperto dalla mascherina bianca che però lasciava liberi gli occhi che aveva sempre amato. Occhi pazzeschi, dello stesso blu del mare. Occhi che erano placide piscine di cristallo lucente, o rabbiosi gorghi in cui si rischiava di annegare.

Restarono in piedi l’uno davanti all’altro e con un filo di voce Andrea sussurrò il suo nome, e Luca lo rapì dalla casa che lo aveva inghiottito e stringendolo a sé perché la quarantena era finita, ma era finito anche il periodo che li aveva tenuti separati.

«Mai più» si promisero.

Nico D. Alessandro (pseudonimo) scrive racconti e romanzi erotici a tematica gay. Il primo romanzo pubblicato da Eroscultura Editore si intitola Pagine di Daniel ed è un erotico/dark fantasy che parla di crescere, innamorarsi e scegliere la propria strada, talvolta anche sbagliando. 

 

La storia è incentrata su Andrea e Luca e la loro storia d’amore interrotta ma che si riavvicinano proprio durante un momento di divisione come la quarantena del 2020. 

Menzione speciale – Nina Kuzmanovic: Toccano

Toccano

la mia anima

gli sguardi spaesati Abbraccia

il mio cuore

chi ancora ci spera

che la vita non è finita qui.

Gli anni non sfuggono

le nostre mani si stringono Insieme

torneremo a respirare Insieme

vedremo il mondo a colori.

Nina Kuzmanovic, 25 anni e originaria di Nis, Serbia. É una studentessa di Mediazione Linguistica e lavora come educatrice presso una Casa Famiglia. 

 

Ci tengo a dare un contributo artistico per il contest da voi proposto perché credo fortemente che se tutti ci sentissimo liberi di esprimere la nostra interiorità, potremmo cominciare a vivere in un mondo in cui non importa da dove vieni, qual è il tuo lavoro, sesso o classe sociale ma ciò che essenzialmente sei.La poesia “Toccano” da me scritta quest’anno, vuole esprimere la speranza che nasce da una profonda angoscia. Durante quest’anno abbiamo tutti lottato per varie ragioni, ma la lotta più grande è stata quella con il tempo. Quel tempo che sembra ci sia stato strappato via, quel tempo in cui la vita è andata avanti e noi ci siamo dovuti reinventare, sperimentare e questo ha portato ulteriore frustrazione poiché non ci potevamo più permettere di scegliere di non fare niente.La gente sembra spaesata, ma meno giudicante, poiché per la prima volta è stato capito e interiorizzato il concetto di essere tutti nella stessa barca. Da qui, nasce la voglia di ricominciare la normalità con una visione nuova, nasce la voglia di credere che ci sia ancora molto da fare, vivere, sentire.Siamo scesi tutti in piazza perché George Floyd ha smesso di respirare, stiamo tutti lottando per i diritti della comunità LGBTQ+ e siamo tutti più predisposti a capire che l’essere umano è semplicemente umano e che tutti hanno le stesse esigenze. Il distanziamento sociale, la carenza di affetto fisico, ha fatto in modo che tutto il mondo possa sentire l’abbraccio più importante ed è quello della solidarietà e della speranza.

Menzione speciale – Leo Rodighiero: AbbracciarTi con…

Con le parole, lettere disposte in filari tese a dipanare la matassa delle tue paranoie e rimandarti indietro un telaio ordinato di fili colorati. 

Con il pensiero, raccogliere i tuoi dolori e le tue ansie e liberarti per un istante, alleggerirti con una battuta o un gesto stupido. 

Con lo sguardo, carpire il tuo per un contatto di qualche secondo, occhi dentro occhi e tutto il sostegno e l’affetto che rotea in mezzo a noi. 

Con una carezza sulla testa, la mascherina, ad un metro di distanza in ufficio, i tuoi capelli nelle mie mani e tu che appoggi la testa sul mio palmo quando i pensieri si fanno troppi e troppo pesanti. 

Con un messaggio, dirti che sei in grado quando gli ostacoli si fanno alti e perdi la fiducia in te. 

Con un sorriso di prima mattina, in risposta al tuo sguardo appesantito, tutto ciò che sappiamo cogliere da dietro la mascherina. 

Con un “respira” al momento giusto, quando sei nel panico e posso darti l’esame di realtà che ti manca.

Leo Rodighiero, attivista trans per i diritti LGBTQI+, educatore professionale sanitario e lavora all’interno di una comunità residenziale per utenti autistici gravi.

 

Nell’elaborato racconto di come siano cambiate le modalità per darsi sostegno reciproco nel luogo in cui lavoro.

Guarda gli elaborati dell’Area Arte Visiva

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